domenica 21 giugno 2009

Fourth Drop:.











Fourth Drop:. - Capitolo 1. Awakening




New York. 4 mesi e 15 giorni dopo.






Plic.



Qualcosa gli piovve sul fianco scoperto e si insinuò tra i due labbri gonfi e doloranti della ferita che lo squassava. Bruciò quanto un graffio di rasoio, in paragone con il continuo pulsare sordo che sentiva sotto la pelle calda, febbricitante.



Plic.





L'epicentro lo conosceva. Era quello squarcio che gli attraversava il torace dal centro del ventre fino all'anca, lasciato all'incuria dalla sua incapacità di trovare un minimo d'acqua pulita per medicarsi.



Plic.





Un'altra goccia. Venne giù come una gemma, gli sfiorò la palpebra chiusa e poi rotolò via, ridotta a una semplice lacrima.
Una delle tante degli ultimi giorni. L'unica differenza era che questa non l'aveva pianta lui. Era animata di vita propria...una sottile, impalpabile carezza.





Plic.





Shade aprì gli occhi lentamente, fissando il muro spoglio e coperto di graffiti davanti a lui. Il dragone rosso scolorito dallo smog e dalle piogge degli ultimi tempi appariva come un bizzarro serpente rovesciato, con il muso puntato verso un cielo grigio che si stagliava oltre le cime scure dei grattacieli e le grandi ali protese a cercare il vento per alzare l'immenso corpo.
Il Whisperer si girò, premendo la schiena contro il cartone lacero che per quell'ennesima notte gli aveva fatto da giaciglio.




L'orologio digitale appeso al primo piano, sopra l'insegna del negozio di antiquariato che stazionava proprio di fronte al vicolo in cui si era trascinato la sera prima, segnava solo le quattro e mezza della mattina. La volta che sovrastava la città era schiarita dai primi raggi fievoli del pallido sole di tutte le mattine estive.
“ Di nuovo l'alba.”
Solo le 4 e mezza.
“ Ho dormito tre ore scarse...” Shade si portò una mano al viso e si strofinò la base del naso, tentando di scacciare la confusione che gli regnava nella testa per fare due conti decenti. Si era addormentato con la speranza di riuscire a superare almeno un po' il dolore al fianco e la morsa di scarsa lucidità in cui lo aveva costretto la febbre, ma nemmeno quel poco di riposo che era riuscito a racimolare era stato sufficiente a scacciare ciò che nemmeno imbottendosi degli antidolorifici che aveva rubato in farmacia erano riusciti a dominare.
“ Tre ore e mezza...forse due?”
Non lo ricordava. I dettagli della nottata precedente erano nebulosi e insicuri. Posti in cui era andato, cose che aveva visto…tutto sbiadito.
“ Se non riesco nemmeno a ricordarmi come e quando sono finito qui sono a posto.” si disse.



C'era qualcosa...sulla fronte. Un grumo secco e cedevole. Sentì un dolore acuto quando premette troppo e la chiazza frastagliata che gli era rimasta dall'ultimo scontro con due poliziotti gli scoppiò in una bolla di sangue.
-Merda...
Il liquido cremisi gli scivolò lungo la tempia sinistra e gli rigò la guancia, scendendo fino a trovare sfogo in un minuscolo buco del cartone. Una macchia scura sulla carta e sull'asfalto ancora più sotto.




Shade si raddrizzò in fretta, facendo leva sui gomiti, e si coprì precipitosamente il taglio. Il sangue gli colò tra le dita e gli inumidì il bordo della manica della felpa, precipitando in gocce concentrate sulla stoffa morbida e stinta dell'indumento. Il Whisperer non se ne curò, tirandosi la manica fin sulla punta delle dita per cercare di tamponare il danno.
“ Sempre meglio addosso a me che dove lo possono fiutare facilmente.” commentò tra sé, a denti stretti mentre il dolore gli inviava un tremito lungo la schiena.
Conoscendoli, i cani dei cacciatori avrebbero comunque sentito l'odore del fluido che gli era rimasto addosso, ma in ogni caso sarebbe stato più facile liberarsi della felpa piuttosto che tentare di cancellare a mani nude la macchia dalla strada.




Una fitta.
Il gesto gli era costato una protesta sonora dall'altra ferita. Shade gemette appena, e appoggiò la mano libera contro il fianco offeso come per cercare di blandire il dolore.
Muoversi gli faceva male. Male da morire.
L'allenamento a cui era stato sottoposto come tutti quelli del suo clan ancora da prima di imparare a camminare era stato un appoggio vitale negli ultimi quattro mesi e mezzo. Ma anche ciò che sapeva sulle tecniche per dominare il dolore stava andando in vacca...non riusciva a sopportare tutto quello che subiva, come era stato capace una volta. Troppe cose, e tutte in una volta.




Per la strada attigua risuonò il rombo del camion rifiuti.
Shade lanciò un'occhiata di traverso all'imboccatura del vicolo e accantonò anche il desiderio di rimanere dov'era per altri cinque minuti, o dieci, o quel che serviva perchè il fianco smettesse di fargli così maledettamente male.
Gli umani erano in arrivo. E dato che la maggior parte di loro sembrava incappare in lui di proposito, nonostante non lo vedessero (fingevano?), facendo chiaramente capire che per quanto innocenti sembrassero erano invischiati quanto lui in quella dannata faccenda, era meglio darsi una mossa. Aveva disperatamente bisogno di riposare anche solo qualche ora in più, ma fermarsi lì sarebbe stato un suicidio.




Ormai sapeva come gli esseri umani reagivano alla loro vista. Gli anziani erano stati categorici su questo punto. E il brano in cui uno dei loro storici più autorevoli descriveva la loro razza e le continue cacce a cui era stata soggetta era ancora stampato a lettere di fuoco nella sua mente.
Così come gli avvisi di essere sempre estremamente cauti, in superficie.




Shade afferrò il primo piolo della scaletta antincendio di fianco a lui, tirandosi faticosamente in piedi, con la netta sensazione di essere a un passo per spezzarsi in due. Il taglio che gli attraversava il torso stillò la sua vendetta per quel movimento indesiderato, con rabbia. Prima o poi si sarebbe riaperto, se non fosse riuscito a trovare qualcuno che lo aiutasse a curarsi, ma rintracciare altri Whisperer a New York era pressoché impossibile... e anche se fosse riuscito a scovarli non si sarebbe avvicinato, neanche se fosse stato in punto di morte.
Scappare dal suo stesso clan per non coinvolgerli nella minaccia che incombeva su di loro altrimenti sarebbe stato inutile.




Il mondo traballava lievemente. Scosse il capo, tentando di schiarirsi la visuale, e si lanciò un'occhiata intorno.
Sulla vetrina di fianco a lui, opaca del rivestimento interno plasticato, la sua immagine gli restituì lo sguardo: un adolescente un po' minuto per i canoni della sua specie, con due cerchi sotto gli occhi come se avesse preso due cazzotti in faccia da un pugile. I capelli scuri gli cadevano arruffati sulle spalle. Erano stati lisci, una volta, ma ora la sensazione delle ciocche leggere a ricadergli intorno al viso era solo un ricordo: aveva rinunciato a prendersene cura già da molto tempo, tagliandoli irregolarmente quando diventavano troppo lunghi. La pelle verde che fino a quattro mesi prima era stata di una morbida sfumatura pastello era pallida e slavata, tesa sul suo viso e contratta sulle nocche, in spaccato contrasto con l'ombra delle occhiaie.




L'ombra.




Sembrava fosse calata su di lui come una rete invisibile e impossibile da togliere: gli copriva la cute come una colata, rendendo ogni dettaglio del suo viso più spigoloso e tagliente.
Perfino l'impalpabile spruzzata di efelidi che aveva cominciato ad affiorargli sugli zigomi e sul naso sembrava una macchia di sporco. Se la sfregò con la manica meccanicamente, tentando di cancellarla, gli occhi puntati sull'alter ego che gli rimandava la parete.




Occhi che il vetro colorava d'ambra. Una colata di miele che invece di essere limpida lasciava affiorare deboli bagliori di inquietudine e frustrazione.
I suoi occhi.
Gli unici che aveva visto da quattro mesi a quella parte ogni volta che si era svegliato davanti a uno stupido negozio umano.




Shade spostò le dita dalla ferita a mezzaluna sulla sua tempia fino al centro della sua fronte, incontrando il rilievo del Marchio. L'unica cosa positiva della sua condizione attuale era che il simbolo nero e lucido che normalmente sarebbe stato distinguibile a vista da chiunque era opaco e spento, come sotto una patina. Nemmeno un sole abbagliante sarebbe stato capace di farlo risplendere.




Noir, il fiore della morte, sembrava in uno stato di stasi. I petali erano ancora chiusi, avviluppati intorno al minuscolo bocciolo nato tra i due virgulti che si allungavano pigri lungo la pelle del giovane Whisperer, ma si poteva distinguere nettamente il bordo delicato della corolla e le gocce che la imperlavano.
Rugiada.
Shade fece una smorfia.
Il Noir era umido di rugiada come se fosse stato un fottuto, comunissimo giglio in un altrettanto comune campo erboso. Lì, stampato su di lui, fremente di chiazze umide, come a ripetergli che era un organismo vivente- non un semplice marchio.
Come se Shade non ne fosse già convinto.




I tatuaggi non spuntano da un giorno all’altro.
I tatuaggi non crescono e maturano mano a mano che passa il tempo.
I tatuaggi, perlomeno quelli normali…non ti costringono a fuggire di casa per paura che i tuoi familiari, i tuoi amici, tutti quelli che ti hanno visto crescere rimangano traumatizzati dalla tua morte o ne vengano coinvolti.




Il rombo del camion della nettezza urbana si fece ancora più vicino. Il Whisperer si chinò a raccogliere la coperta su cui si era steso per dormire, la piegò, se la mise sotto il braccio e, senza un solo rumore, si avviò verso il labirinto dei vicoli e delle strade secondarie. Entro poco avrebbe fatto caldo, e allora gli umani sarebbero stati dovunque.
Anche se nessuno avrebbe mai notato la sua fuga.

°°°

Il cielo era nero pece,con stelle lontane e troppo luminose che lo trafiggevano come spilli sul velluto. La luna era alta e piena, risplendeva di crudele luce bianca invece di coprire la sua fuga.
I cani abbaiavano. Uno di loro lo aveva già morso alla gamba, quando gli umani erano riusciti a penetrare nella tana. La scia di sangue che lasciava sugli arbusti avrebbe guidato i segugi ringhianti sulle sue tracce…poteva quasi sentire nei brevi latrati vibranti che lanciavano tutta il desiderio di affondare i denti nella carne della preda.
La piccola gli piangeva addosso, appoggiata sulla sua spalla, ancora imbrattata del sangue dei loro genitori. Avrebbe voluto dirle di non guardarsi indietro, ma non aveva tempo di fermarsi a consolarla, anche se ogni suo singhiozzo soffocato sembrava lacerarlo da dentro.
“ Non voglio. Non voglio morire sentendola piangere.”
Sopra alla confusione vibrante dei cani, sentiva le voci degli uomini che li seguivano. Erano a cavallo. Gli zoccoli percuotevano il suolo del bosco, aumentando a dismisura le vertigini che lo accecavano. Aveva perso troppo sangue? O troppo poco? Era abbastanza per ucciderlo prima che lo prendessero loro?
Sua sorella si strinse a lui; le sue lacrime bollenti gli lasciarono scie lucide sulla pelle sudata, coperta da un velo di polvere e sangue pesticciato:- Mamma…- chiamò con voce tremula.
Il Whisperer si concentrò sul sentiero invisibile che stava seguendo, lottando contro il nodo che gli stringeva la gola, ma quell’unica parola continuò a rimbalzargli in testa.
Mamma.
Avevano dovuto lasciarla, insieme al fratellino nato da poche lune. Ora poteva solo sperare che fosse già morta.
- Koto…dov’è la mamma?
Gli faceva male il ventre dove l’avevano colpito di striscio. Non le rispose subito,c orrendo tra gli alberi, un tronco dopo l’altro dopo l’altro come pallidi spettri. Fu come sentirsi pugnalare di nuovo quando la voce flebile di Arui si fece sentire.
- Non lo so.
Arui rimase zitta, la testolina premuta contro il suo collo, ma lui percepì le unghiette corte della bambina piantarsi nella sua schiena in un inutile sfogo. Koto sapeva che sua sorella avrebbe voluto mettersi a gridare e a piangere, ma che non l’avrebbe fatto. L’aveva promesso.

Qualcosa sibilò tra gli alberi, e all’improvviso fu come se qualcuno gli avesse dato fuoco, mentre un dolore lancinante gli esplodeva dal ginocchio sinistro. Cadde, riuscendo a risparmiare Arui da una caduta disastrosa a costo di battere pesantemente il fianco e la spalla. Mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime di dolore e panico, abbassò lo sguardo: un quadrello da balestra, profondamente conficcato nella sua gamba, all’altezze della rotula.
Koto soffocò un lungo gemito di sofferenza e si trascino avanti per ancora qualche metro, prima di ricadere. Arui si mise in piedi da sola e gli prese la mano, cercando di tirarlo avanti.
- Alzati!
Faceva troppo male, i cani erano troppo vicini. Poteva sentire quasi il loro fiato bruciante.
- Alzati, Koto, per favore!
Strinse la mano libera attorno all’asta del dardo e tirò con tutte le sue forze. La freccia uscì con riluttanza, con un cigolio straziante. La lasciò cadere nell’erba, disgustato.
Arui aveva le lacrime agli occhi.
-…ti prego...alzati…alzati…
Di nuovo quel fischio metallico. Koto afferrò sua sorella per un braccio e la tirò sotto di sé.
Il quadrello si piantò nella sua schiena con fredda precisione, poco sotto il cuore. Sentì il corpo di Arui tremare forte, poi irrigidirsi, quando il sangue cominciò a colare lungo la punta metallica che gli sbucava dal petto. Qualche goccia le cadde addosso.
Lo guardò,smarrita. Nei suoi occhi si rifletteva la luna.
Koto la spinse via con uno sforzo che sembrò enorme.
- Vai via.
Arui scosse la testa. Prima piano, poi più violentemente.
- Vai via. Cerca il resto del clan, ti proteggeranno. Vattene.
Si mise a piangere, allontanandosi da lui; arretrava,ma continuava a fare cenno di no.
-Non mi lasciare.
Il Whisperer appoggiò la guancia contro il terreno umido. Cominciava a non vederci più. Anche il suono degli umani in avvicinamento era distante, lontano.
- Ti voglio bene.
Non sentì mai la sua risposta.




Shade si svegliò per la seconda volta di soprassalto e scattò a sedere, ma era già troppo tardi. L’auto lanciata in corsa passò di fianco al suo misero rifugio di cartoni e investì in pieno la gigantesca pozzanghera che l’acquazzone aveva formato in uno scanso del marciapiedi, colpendolo con una frustata fredda e insapore, prima di sparire oltre il bordo del vicolo con un gran rombo di motore.
Lasciandolo fradicio e furente.
- Stronzo.- mugugnò tra i denti il giovane Whisperer. Era riuscito a conservare abbastanza bene gli indumenti, in modo da non doverne rubare di nuovi ogni volta che si rovinavano. Che arrivasse un deficiente qualunque a buttare all’aria il tutto con la sua maledetta Volvo argentata…
Umani.
Shade ingoiò l’irritazione che il brusco risveglio gli aveva fatto montare alla bocca dello stomaco e si asciugò con un gesto brusco il viso imperlato di minuscole gocce d’acqua di dubbia provenienza, mettendosi a sedere con le gambe raccolte contro il petto.
Se quel bastardo fosse passato un po’ prima almeno gli avrebbe evitato l’ennesimo incubo. Uno dei tanti che gli mandava il Noir.
Shade si strofinò gli occhi appesantiti dagli ultimi rimasugli di sonno:- Perché devi continuare a tormentarmi anche quando dormo? – mormorò, piantandosi le unghie intorno al leggero solco in rilievo del Noir.
Dal bocciolo nessuna risposta.
Il Noir ondeggiava leggero sulla sua pelle come scosso da una brezza lieve, stirandosi pigro al calore della sua fronte. Presto avrebbe cominciato a tremare.
Segno che doveva spostarsi, e presto.
Per l’ennesima volta.
Shade tirò un sospiro teso e si alzò in piedi, scrollandosi di dosso il cartone umido.



Si lanciò uno sguardo veloce intorno per controllare che il cappuccio della felpa fosse alzato a proteggergli il viso accalorato da sguardi indiscreti. Faceva maledettamente caldo, con quella roba addosso, ma almeno riduceva al minimo le possibilità che qualche umano lo vedesse. Fortunatamente se ne stavano quasi tutti alla larga, salvo qualche barbone un po' troppo indiscreto.



Un ragazzino malconcio che gira in vestiti pesanti con il caldo – soffocante, sceso ad opprimere NY solo negli ultimi giorni- era troppo strano per essere raccomandabile.




Azzardò un’occhiata guardinga anche alla strada. C’erano diverse persone nonostante la pioggia, molte delle quali senza l’ombrello… l’acquazzone doveva essere arrivato mentre dormiva.
Di norma avrebbe preferito non farsi vedere, considerato il brulichio consistente di umani che giravano per New York nonostante il tempo, ma se fosse rimasto ancora lì, completamente fradicio, avrebbe peggiorato la febbre.
E poi c’era il secondo nemico che si era trovato ad affrontare, oltre al rischio di stare più male ancora.
La fame.
Aveva lo stomaco annodato e dolorante, e la ferita non c’entrava stavolta.
C’era un piccolo negozio dall’altro lato della strada. Shade raccolse nel cavo della mano qualche spicciolo e si diresse verso l’insegna scrostata a passo veloce, superando un uomo che si proteggeva la testa con una cartelletta e uno in calzoncini e maglietta che correva con l’mp3 acceso, spingendo la porta.
Aperta, per fortuna. Si infilò nell’apertura scrollandosi di dosso l’acqua, sollevando una piccola nube di goccioline.




La commessa, una ragazza con eccentrici capelli blu elettrico quasi a spazzola, non alzò nemmeno gli occhi dal manga che stava leggendo con interesse:- Posso fare qualcosa per te?- lo apostrofò, senza guardarlo.
Il Whisperer si strinse nelle spalle, cacciando le mani fasciate dalle manopole di cuoio nelle tasche. Le monete tintinnarono contro la sua pelle:- No, grazie. – rispose, in tono basso, passando in fretta dietro al primo scaffale.
La ragazza voltò la pagine dal fumetto, lanciandogli un’occhiata rapida. Aveva occhi insolitamente chiari e così tanto argento in faccia, tra piercing e orecchini, da sembrare una divinità esotica.
Lo fissò per un istante che parve a Shade interminabile.




Il ragazzo chiuse i pugni. Il Noir, aveva scoperto, poteva influenzare la mente degli esseri umani in modo da confonderli. Poteva far credere loro di essere molto stanchi o confusi, in modo che pensassero fosse colpa esclusivamente della stanchezza se vedevano un barlume di pelle verde, quattro dita bendate invece che cinque o occhi troppo chiari.
Ma nonostante questa sottospecie di protezione illusoria Shade odiava sentire il proprio nervosismo raccolto e percepito da estranei. Era come farsi smascherare. Due volte.




-Come preferisci.-disse alla fine l’umana. Qualcosa schioccò nella sua bocca: un altro piercing che le decorava la lingua. –Se hai bisogno di qualcosa, chiama.
Shade annuì e sparì tra gli scaffali in fretta. La ragazza rimase a guardare il punto in cui era rimasto fermo ancora per un po’, aggrottando la fronte, prima di mordicchiarsi leggermente il labbro inferiore. Si tirò su leggermente i pantaloni che cadevano bassi sulle sue anche, e tolse di tasca un telefonino blu metallico decorato a intrecci neri a pennarello, sbiaditi.
- Finalmente qualcosa di nuovo...- commentò tra sé, a voce bassa, alzandosi e sparendo nel retro con il cellulare in mano. - chissà se a Noine interessa


***


Part 1\\ END


TBC in next Post

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